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giovedì 25 ottobre 2012

un post di denuncia sociale

Ci sono momenti in cui le proprie parole non bastano a descrivere lo sdegno, la frustrazione e la delusione per quello che accade.
Questo è uno di quei momenti.
Oggi l'unico modo che ho per esprimere il mio pensiero è utilizzare parole non mie:
Allora Maria, intanto non credo a una parola, intanto questa ragazza non è giusto che passi da poco di buono, d d... di quell... diciamo da quella che va a adescare i tronisti in giro, perché uno è padrone e libera anche di farlo: è una ragazza giovane, è libera e può comunque... ehhh... tentare di sedurre chiunque.
È LLLUI che dua tutilare il suo rapporto.
È LLLUI che era fidanzato con Teresanna.
È LLLUI che doa fare in modo che llei non arrivasse in camera.
E e il suo racconto fa acqua da tutte le parti: quando lui led descrive lei dicendo:
"Beh, ma in fondo tu sei qua perché ti vuoi far... ehm... diciamo vuoi venire a Uomini e Donne."
Beh, Maria, nonè difficile venire a Uomini e Donne, perché basta una telefonata, uno dice sai, vorei... 'n sooooo... corteggiare Diego, e c'arrivi a Uomini e Donne! Non è che co'la... co'la sua presenza chissà poi che cosa è accaduto! Allora, cara Maria, io aaa ehm Francesco non gli ho creduto la scorsa volta e non gli crederò mai, perché la ragazza ha detto dei dettagli della camera da letto, ha detto:
"Letto a baldacchino e qual..."
adesso non mi ricordo bene cosa aaaltro ha detto, che soltanto una persona che è entrata lì, e quando lui dice:
"Il manager ha dormito con me."
non è vero, perché il manager alloggiava alla camera a fianco e lei ha risposto al telefono, perché ha risposto al telefono? Perché il ghghgh telefono era appoggiato sul comodino! Quando lui poi replica a ciò e dice:
"Beh, no, effetiamente lei ha sentito che io ho risposto."
sì, sentire è una cosa, rispondere è un'altra, perché s'io mi trovo col mio cellulare qua fuori, perché deve rispondere Gianni? Ci sono io, efefe rispondo io, è il mio telefono, quindi questa versione di lui è falsa, è finta, io lui non ci credo, perché lei è salita in camera, per la seconda volta lei poi dice che lui l'ha pregata di aspettarlo, quando lui era al telefono non so cosa stava facendo.
Maria, la parte di quello che è stato "vittima" di questa "fan scatenata" non gli si addice.
Qui chiudo.
Tina Cipollari

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lunedì 5 dicembre 2011

mezzo secolo

Dicono che puoi evocarla mettendoti di fronte a uno specchio e ripetendo il suo nome per tre volte.
"Bloody Mary."
"Bloody Mary."
"Bloody Mary."

E tanti auguri anche a Maria per i suoi primi 50 anni!

martedì 20 settembre 2011

uomini e donne - parte III

Benvenuti al consueto appuntamento con quella che è ormai diventata la rubrica più letta da Flavia Vento e Carlo Rubbia.

Oggi ci occuperemo di cibo e, a proposito di cibo, vi presento la nostra ospite non parlante di oggi: direttamente dalla cucina di casa sua (che prima stava su Italia1, ma adesso si è trasferita su La7) Benedetta Parodi!

cosa lo rende un programma da "bambini accompagnati"?
E grazie Benedetta per il tuo interessantissimo intervento, ma adesso purtroppo dobbiamo salutarti, perché so che ti devi preparare per la tua prossima sfida ai fornelli, un piatto che risulta indigesto anche ai più grandi chef: l'uovo al tegamino.

Ma torniamo a noi e andiamo a esprimere il consueto assioma di partenza:
Se sei un uomo più mangi e più persone avranno stima di te; se sei una donna puoi nutrirti con quantità esagerate di cibo (ma solo in pubblico) oppure sarai costretta a fingere di non avere fame, anche quando il tuo stomaco, in mancanza d'altro, si sta autodigerendo.
Il problema quando si parla di cibo è uno solo: il modello di riferimento.
Per l'uomo è da sempre valido il proverbio omo de panza omo de sostanza, che costringe anche quelli con il morbo di Crohn a divorare qualunque cosa gli capiti a tiro; il concetto è chiaro: se mangi anche i sassi sei un uomo vero, se non lucidi il tuo piatto rendendolo brillante come i denti del Mitaka di Maison Ikkokuchiana memoria c'è qualcosa che non va. E così l'uomo, per non risultare strano, è costretto, sin dalla più tenera età, a ingurgitare a ogni pasto una quantità di cibo pari o superiore al proprio peso corporeo.

Tutt'altra storia per la donna. Come dice il Duca di Mantova La donna è mobile (e non si parla di IKEA o simili) e, proprio come la donna, è mobile anche il modello a cui ha fatto riferimento nel corso dei secoli; parlando di abitudini alimentari, per comprendere quali siano state le figure femminili da ammirare e imitare, basti pensare che si è passati dalla venere di Willendorf a Twiggy (una delle due l'ho vista dal vivo ed era bella sul serio); e con questo ho detto tutto.
Twiggy, che poi col tempo si è evoluta in Kate Moss, ha introdotto quello che oggi, per molte, è il modello ideale di bellezza, un modello che può essere riassunto con una parola e un numero: taglia 40 (ma, volendo, anche 38).

Proprio per rispettare il modello imperante, molte donne sono quasi costrette al digiuno perenne, ma cosa accade quando una donna è invitata a mangiare da qualche parte?
A quel punto le alternative che le si presentano sono due:
  1. mangiare una foglia di insalata scondita e mentire spudoratamente affermando di essere sazia, mentre in realtà azzannerebbe volentieri tutti i commensali, con l'oscuro intento di assaporare il loro fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti;
  2. mangiare fino a scoppiare per dimostrare agli altri che il suo fisico è merito di un metabolismo iperveloce, quando sa benissimo che quel lauto pasto le procurerà almeno una settimana a base di acqua, gambi di sedano (uno a pranzo e uno a cena) e palestra (dalle 8 alle 16 ore al giorno senza interruzioni).
Certo, le donne che aspiravano alle rotondità della Venere di Willendorf non se la passavano meglio, sempre impegnate a spararsi litri e litri di lardo di Colonnata* fuso direttamente in endovena com'erano (per non parlare della mortalità indotta dai chili di colesterolo che andavano intasando arteria dopo arteria), ma almeno loro non presentavano il classico nervosismo tipico di chi si priva giornalmente del cibo in nome di una 40. Che poi... cosa vuol dire 40?
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-Momento Franca Sozzani-
Forse qualcuno non lo sa, ma la mitica taglia 40 non è qualcosa di standard, infatti, ogni azienda di abbigliamento stabilisce in completa autonomia la misura corrispondente a ogni taglia; cosa significa questo? Che se entro in una 40 rosso Lavandino, potrei non entrare in una 40 Rocco Tarocco. Per quale motivo non riescono a unificare le misure corrispondenti alle taglie? Perché ogni azienda crede di sfruttare le taglie a proprio vantaggio; per esempio, se io sono un produttore di abiti d'alta moda, la mia 40 potrebbe essere molto più stretta della 38 di una ditta di abbigliamento sportivo, questo perché l'alta moda deve essere esclusiva, quindi solo un minuscolo numero di donne potrà entrare nella taglia che credono essere la loro; in pratica il peso e le dimensioni di chi andrà a comprare un determinato abito sono parte integrante dei meccanismi di marketing che ti porteranno a scegliere un indumento piuttosto che un altro, o almeno questo è quello che i produttori credono.
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Riassumendo: parlando di cibo l'uomo deve mangiare, sempre e comunque, mentre la donna si è vista privare progressivamente del cibo nel corso dei millenni.
In questo preciso momento storico possiamo dire di essere arrivati alla svolta decisiva, perché abbiamo una Beth Ditto per ogni Kate Moss e, proprio in mezzo a questi estremi, tante donne dal peso normale che si fanno milioni di complessi inutili. Colpa della moda?
Io credo che probabilmente la colpa è di chi si ostina a diffondere e dare credito a queste famose leggi non scritte; alla fine anche Kate Moss è "ingrassata", perché non lo può fare una che non fa la modella?

PS: avete notato quante guest star mi sono venute a trovare in questo post?
PPS: posso autodefinirmi fashion blogger per un giorno? Prendo il silenzio per un sì.

*sarà anche puro e semplice grasso, ma quanto è buono!

lunedì 22 agosto 2011

uomini e donne - parte II

Oggi, ricordandovi la banalità della rubrica, parliamo di bagni* partendo dal solito assioma:
se sei un uomo e devi andare al bagno, ci andrai; se sei una donna e devi andare al bagno, preparati ad affrontare code interminabili e ricordati di portarti almeno un'amica per aumentare a tua volta la lunghezza della coda.
Partiamo immediatamente fornendo una legge empirica che permette di calcolare il tempo che una donna dovrà attendere prima di entrare nel bagno di un qualsiasi locale pubblico:
T = D!1+C
dove:
T è il tempo di attesa in minuti
D il numero di donne nel locale
C il numero di donne con il ciclo 

È vero, noi uomini siamo fisicamente avvantaggiati dal fatto che possiamo tranquillamente fare il 50% dei nostri bisogni fisiologici in piedi, considerando anche che non abbiamo la necessità di dare ascolto a quelle ragazze, mentalmente provate, che "in quei giorni" vanno in motocicletta, si lanciano da un paio di paracadute, fanno la ruota, disegnano un palloncino rosso o il mar Rosso, si allenano sulla diagonale e fanno una miriade di cose che non si permettono di fare quando non hanno il ciclo; possiamo sicuramente comprendere alcuni motivi dell'apparente lentezza femminile.


E con questo ho finito le giustificazioni, ma ancora non capisco come mai questa lentezza sia così esasperante.

Calcolando che per espletare le funzioni vescicali il tempo che uomini e donne impiegano dovrebbe essere lo stesso, mi domando se il problema sia tirare giù (e poi nuovamente su) un paio di pantaloni o una gonna... che poi, da quello che capita di vedere grazie all'accoppiata gonna + calze, possiamo comprendere che la vestizione non è assolutamente qualcosa di meticoloso: chi non ha mai visto una donna uscire da un bagno con la gonna incastrata all'interno delle calze?

Probabilmente lo scopo dell'amica che si portano sempre dietro è proprio quello di correggere eventuali grossolani errori, oltre a reggere la famosa porta... anche qui poi ho un bel dubbio: giusto per capire, ma se la porta dei bagni degli uomini ha la possibilità di essere chiusa, credete forse che quella del bagno delle donne non lo possa fare? Io penso che esistano anche lì dei metodi di chiusura, ma magari mi sbaglio.

L'amica fermaporta, no, ma continuiamo a parlarne; secondo me il sovraffollamento, causato da questo accessorio, apparentemente indispensabile, contribuisce, e non poco, all'allungamento dei tempi di minzione. Avete mai visto un uomo andare in bagno dicendo all'amico di turno:

"Mi accompagni?"

Io no? Anche perché cosa farebbe l'amico? Come potrebbe essere d'aiuto? Glielo sgrulla? O magari i due si mettono vicini e indirizzano l'uno il getto dell'altro?
Perché l'amica, di solito, non ha il semplice ruolo di fermaporta, non se ne sta lì con le mani in mano: lei si deve occupare di intrattenere con amene discussioni la tizia seduta (che poi in realtà di solito non è seduta, quanto sospesa) sulla tazza; dopotutto si sa che se non parli la vescica non si svuota, perché, se gli uomini non sanno fare due cose contemporaneamente, le donne non riescono a farne una per volta.

Riassumendo possiamo dire che uomini e donne entrano in bagno per fare le stesse cose, ma con metodologie del tutto differenti; se i primi entrano, fanno quello che devono fare, si lavano le mani (questa purtroppo alcuni la saltano) e escono; le seconde:
  • cercano qualcuno che abbia dei fazzoletti;
  • entrano in bagno in coppia;
  • disinfettano la tavoletta del wc;
  • la ricoprono di 37 strati di carta igienica (né uno di più, né uno di meno);
  • intavolano discorsi filosofici con l'amica che si sono portate dietro;
  • si lavano le mani (mi piace pensare che anche alcune di loro questa la saltino);
  • "per errore" il loro sguardo incrocia lo specchio;
  • distolgono lo sguardo, ma forse prima mi do un'aggiustatina ai capelli... che per caso hai una spazzola, un po' di rossetto, una matita, del mascara, un po' di cera da scaldare che tanto le strisce ce le ho io, un tosaerba per rifinire il lavoro e una fiamma ossidrica che non si sa mai?
A questo punto l'amica decide che anche lei deve andare in bagno e si ricomincia invertendo i ruoli.

Notate qualche differenza? Io no.
Come diceva Cesare Cremonini, che mi sta antipatico sin dai tempi dei Lùnapop, Gli uomini e le donne sono uguali.

*servizi igienici, gabinetti, latrine, wc, toilette, cessi, vespasiani, ...

venerdì 29 luglio 2011

uomini e donne - parte I

Siccome sono una persona banale, voglio cominciare a parlare delle differenze che esistono tra uomini e donne, ovviamente partiremo dalle basi della banalità per raggiungere progressivamente picchi inauditi (probabilmente citerò anche il fatto che le donne vanno sempre al bagno in due, per farvi comprendere quanto sarò originale).

Iniziamo questa nuova rubrica (che rubrica non è, anche perché potrebbe durare una sola puntata) da un assioma universalmente ritenuto valido:
se sei un uomo e sei andato a lette con un'infinità di donne, allora sei un mito; se sei una donna e hai fatto altrettanto, allora sei una ragazza di facili costumi.
Ovviamente l'assioma, proprio in quanto assioma, è indiscutibilmente vero e non ha bisogno di essere dimostrato, ma siccome io sono rincretinito, voglio dimostrarvi la sua validità.

Prima di tutto andiamo ad analizzare da vicino il concetto di uomo macho. L'immagine di macho per antonomasia è perfettamente descritta da un personaggio che compare in quell'opera di rara complessità che fu Beverly Hills 90210.

L'attore era Luke Perry e il personaggio era Dylan McKay (ho scoperto il cognome oggi).
Da un'attenta analisi del soggetto in questione possiamo delineare alcune caratteristiche fondamentali:
  • occhi piccoli;
  • fronte alta;
  • una barca di soldi (qui basta anche fingere semplicemente di averceli);
  • una storia tormentata alle spalle;
  • un fratello* che fa l'attore in friends (cosa che potrebbe rientrare nel punto 4);
  • almeno una moto;
  • frequentare il liceo alla tenera età di 25 anni.
Ovviamente queste sono caratteristiche necessarie, ma non sufficienti a diventare un vero macho, perché per essere macho c'è bisogno di alcune donne. Nello specifico le donne in questione erano tutte quelle belle che comparivano per caso sul set del telefilm, quindi era nettamente esclusa la semprevergine** figlia del produttore (che potete ammirare qui e qui). Ovviamente non basta nemmeno andare a letto con tutte quelle belle (ma anche non eccessivamente) che compaiono sul set, perché si deve anche imparare a stare con una e farle capire di pensare all'altra, mettersi con l'altra e andare a letto con quella che ora dorme nella stanza della prima, arrivare fino a Londra  per cercare la stessa prima della fila che aveva lasciato la stanza alla terza, divertirsi un po' con lei e tornare finalmente indietro da quella che ha in mano il numero 2.
Se avete fatto, ma anche solo millantato tutto questo, potete essere definiti macho.
La qualifica di macho vi porterà un'infinita ammirazione dalla gran parte del mondo maschile e, contrariamente a quanto ogni ragionamento logico potrebbe far presupporre, una fila, di cui da qui a malapena si può distinguere la fine, di donne appartenenti a due categorie:
  1. quelle disposte a tutto per una notte di sesso sfrenato con voi;
  2. quelle che "io lo cambierò".
Siccome le appartenenti alla seconda categoria non ci interessano, in quanto sono essenzialmente delle fastidiose illuse, passiamo a descrivere la donna da sesso sfrenato, che, essendo l'equivalente femminile del macho, chiameremo, per comodità, macha.

Per parlare della donna macha, purtroppo, non possiamo fare a meno di nominare uno dei più gravi cataclismi che abbiano mai colpito il globo terracqueo: Sex and the City (il film***).
Dovete sapere che questo film è terribilmente brutto e ha come protagoniste queste donne:
Ecco, in particolare dobbiamo esaminare l'esemplare più vecchio dei quattro, tale... quella bionda. Lei, soprattutto nella serie, è il prototipo di macha; dal suo comportamento possiamo dedurre con certezza che una donna macha:
  • impiega 12 ore per scegliere con chi andare a letto e far(se)lo;
  • passa le altre 12 ore a raccontare nei minimi particolari cosa ha fatto nella precedente dozzina di lassi temporali formati da gruppi di sessanta minuti****.
Questa è la vita standard di una donna macha (potrebbero essere un ottimo titolo per un best-seller; se qualcuno lo dovesse scrivere voglio parte dei diritti), niente di più, niente di meno.

Come è facile intuire, essenzialmente, la differenza tra macho e macha sta nel numero di rapporti sessuali effettivamente consumati; considerando che, di solito, per un uomo la ricerca di una donna disponibile a fornirgliela (la fiducia) non è affatto facile, solitamente il macho millanta un numero infinito di storie con le partner più disparate, le quali, per pudicizia (a detta del macho stesso) non confermeranno mai.
Per quanto riguarda il lato femminile, invece, possiamo notare una discreta, in alcuni casi estrema,  facilità nel trovare un uomo (ma anche più di uno) disposto a darglielo (il consenso informato), tanto che la macha non ha alcun bisogno di inventare incontri impossibili, anzi; notiamo altresì che il suo piacere sta tutto nel raccontare i particolari intimi degli incontri avuti con uomini dall'ego di dimensioni inversamente proporzionali al proprio... consenso informato di cui sopra.

Date queste evidenti conclusioni, possiamo affermare con certezza che l'assioma di partenza è assolutamente confermato, infatti, se sei un macho sei l'equivalente di un mito, quindi, a qualcosa di tanto vero quanto lo è una favoletta inventata almeno 24 secoli orsono, in pratica una consensoinformazzata; se sei una donna macha, sei oggettivamente una donna navigata, che ha avuto molte esperienze, insomma una lurida bagascia traditrice! Ma come ti viene in mente di raccontare in giro che ce l'ho picc... fate finta di non aver letto le ultime parole.

*in realtà Matthew Perry non è il fratello (come Katy Perry non è la sorella), sono solo io che li voglio ricordare così.
**non tenertela tanto stretta, perché non la vuole nessuno... e ringrazia che sei raccomandata, perché altrimenti David non ti guardava nemmeno da lontano.
***semplicemente perché della serie ho guardato solo pochissime puntate.
****notare l'eleganza dell'autore che utilizza inutili perifrasi per evitare fastidiose ripetizioni.